Nature as Art – Fotografia Naturartistica
Qualche tempo fa ho presentato un mio portfolio naturalistico ad un noto e bravissimo critico d’arte durante una manifestazione organizzata per offrire ai giovani fotografi l’opportunità di “far leggere” le proprie immagini ad alcuni professionisti del settore, così che i primi potessero trovare giovamento e spunti per crescere artisticamente dalle analisi e dalle interpretazioni dei secondi.
Bisogna premettere che i professionisti di cui sopra non sono fotografi naturalistici e che l’evento era aperto a tutti i campi della fotografia.
Dopo alcuni complimenti sulla tecnica utilizzata per gli scatti e per la difficoltà nell’accedere a determinati luoghi, il discorso si è spostato sulla fotografia naturalistica in generale e sul fatto che questa non può essere annoverata tra le arti figurative così come le conosciamo e nemmeno può essere considerata “arte fotografica”. Piuttosto una disciplina documentaristica e di studio scientifico.
Il mio scetticismo circa le affermazioni del noto professionista mi ha portato a ragionare razionalmente sulla questione, senza lasciarmi travolgere dalla rabbia che ho provato negli istanti successivi alla lettura. Proprio per questo è passato più di un anno da allora e solo adesso mi accingo a scrivere queste brevi riflessioni.
Da una lettura superficiale della definizione di “arte” ci si può fare già un’idea iniziale sulla questione da analizzare: “l’arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana – svolta singolarmente o collettivamente – che porta a forme creative di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall’esperienza” (fonte Wikipedia).
Orbene, se non ci sono incertezze che la professione (o l’hobby) di fotografo naturalistica sia sicuramente un’attività umana che viene svolta in solitaria o in compagnia di colleghi e/o amici e che questa necessiti di elevate competenze tecniche, approfonditi studi sui manuali e costante esperienza sul campo, alcuni dubbi possono sorgere al distratto e poco interessato critico d’arte circa il risultato di questa attività, ossia quelle forme creative di espressione estetica che dovrebbero nascere dal lavoro e dalla ricerca appena descritti.
È lapalissiano che, nel suo significato più alto e anche più moderno, l’arte è strettamente connessa alla sua capacità di suscitare emozioni, di condividere paure e felicità, di trasmettere odio e fratellanza, così che ogni sua espressione diventi un linguaggio universale che, come la musica, non deve essere spiegato.
Infatti, chi non è esperto o è semplicemente appassionato di arte pittorica non si sofferma sulla tecnica utilizzata dall’autore del quadro, piuttosto viene travolto dai turbamenti che la tela gli suscita, oppure rimane totalmente indifferente perché considera l’opera banale e priva di interesse. La stessa esperienza la vivono gli osservatori del David di Michelangelo (rapiti o no dal suo sguardo e dalla sua potenza) o i visitatori di una mostra di Erwitt Elliott, di cui apprezzano o disprezzano l’ironia e la capacità comunicativa delle fotografie.
E una luce dorata tra le sequoie giganti o un ritratto di un macaco giapponese riescono a suscitare le stesse emozioni?
Orbene, si potrebbe rispondere alla domanda appena posta semplicemente con altre domande confutative. Se il compito del paesaggista è soltanto quello di far conoscere al suo “pubblico” quanto è alta una montagna o profondo un canyon, allora perché sceglie di affrontare lunghe notti in tenda o difficili condizioni meteorologiche così da avere una luce perfetta, calda e avvolgente? E perché un fotografo di fauna, se il suo unico scopo è quello di fare soltanto qualche scatto per una ricerca universitaria, decide di appostarsi per giorni o mesi dentro uno scomodo capanno per ritrarre un lupo descrivendone i suoi rapporti con il branco oppure i suoi aspetti caratteriali?
Probabilmente perché questi due fotoamatori o professionisti dell’immagine sono degli artisti e vogliono quindi condividere le loro emozioni facendole provare anche a chi osserva le loro opere. Come il pittore che dipinge una faro su una scogliera probabilmente deciderà di creare un’atmosfera di attesa e di ansia, di notte e con il mare in tempesta, così il fotografo vorrà mostrare la potenza della natura, la bellezza gli alberi e il mistero delle grotte. E come il fotografo di moda o il ritrattista o ancora lo scultore non si ferma alla esternalizzazione dei soli tratti somatici del soggetto ma cercherà di comunicare anche i suoi sentimenti e le sue sensazioni, così il fotografo di animali cercherà di raccontare anche la storia del protagonista dell’immagine, la sua paura e le sue debolezze, la sua forza e il suo coraggio. È vero infatti che la parola “animale” deriva etimologicamente dal latino anima. Non servono dunque, almeno credo, altre divagazioni.
Facendo così, e qui forse sta la differenza con il fotografo, per esempio, di moda (senza però sminuire così l’attività degli altri artisti), il fotografo naturalista ha una doppia funzione: creare arte e diffondere anche un po’ di cultura documentaristica ed etologica. E su questo aspetto il simpatico critico non aveva torto.